Ddl capitali: non solo Mediobanca (Mi.Fi.)
2023年10月30日 - 4:55PM
MF Dow Jones (Italian)
ROMA (MF-NW)--Il convitato di pietra nella grande assise di
Mediobanca si chiama voto maggiorato. Ma la sua presenza si fare
sentire soltanto su tempi lunghi. Più dilatati rispetto all'esito
dell'assemblea di sabato 28 ottobre e della contesa tra il
consiglio d'amministrazione uscente guidato da Alberto Nagel e la
lista Delfin la cassaforte lussemburghese della famiglia Del
Vecchio condotta da Francesco Milleri, forte del sostegno di
Francesco Gaetano Caltagirone I riflessi delle novità introdotte
con il ddl Capitali saranno graduali e potrebbero sconvolgere gli
equilibri di Piazzetta Cuccia, come di molte altre quotate a Piazza
Affari. L'esito sarà quello di rafforzare i diritti in assemblea
dei soci di lungo corso.
Certo, affinché ciò accada, scrive MF-Milano Finanza, è tuttavia
prima necessario che l'azienda, Mediobanca in questo caso, aggiorni
il proprio statuto per includere le previsioni del disegno di legge
per sostenere borsa e il mercato dei capitali, licenziato in prima
lettura dal Senato martedì 24 ottobre, che dà la possibilità alle
quotate di adottare la maggiorazione dei diritti di voto per
ciascuna azione, attribuendo di anno in anno maggior peso, fino a
ottenere un moltiplicatore dieci per ciascun titolo. Uno scossone
per diverse società sul listino di Milano. Già l'attribuzione di
tre voti per azione potrebbe scombussolare le dinamiche e la forza
tra i soci. Occorre però che le aziende decidano di adottare tale
meccanismo. La rivoluzione è legata a doppio filo alla partita
Mediobanca. È stato nelle settimane di preparazione delle liste in
campo in assemblea che le regole sul voto maggiorato hanno preso
corpo nelle discussioni in commissione Finanze al Senato. Un
dibattito spinto dalla decisione di Brembo di trasferire la sede
legale nei Paesi Bassi.Il caso Brembo è diventato il segno che la
maggiorazione dei diritti di voto per gli azionisti di lunga data,
così come prevista nell'ordinamento, non è sufficiente. Oggi la
maggiorazione è già consentita, ma fino a un massimo di due voti
per azione. Finora, dati Consob, sono state 73 le società ad aver
previsto nel proprio statuto tale possibilità. Tra queste anche
Class Editori, società che pubblica questo giornale, tra le prima a
optare per la novità fin dal 2015.
Il numero cresce di anno in anno. A fine 2021, ricorda l'ultima
rapporto sulla governance stilato dalla Commissione di vigilanza su
borsa e mercati, il voto maggiorato è previsto nello statuto di 69
emittenti (64 nel 2020), rappresentativi di poco più del 18% del
valore totale di mercato. L'anno prima erano 64. Gli azionisti
avevano maturato la maggiorazione dei diritti di voto in 46
società, nelle quali, per il socio principale si registra una
differenza tra diritti di voto e diritti ai flussi di cassa
(cosiddetta wedge) pari in media al 12,7.
Da inizio anno sono state invece cinque le società ad adottare
il voto maggiorato: Brunello Cucinelli, Unidata, Technoprobe, Some
e Digital Value. Il caso Brembo può dimostrare che il voto
maggiorato non è forse l'unica ragione dietro la scelta di guardare
al modello olandese. È solo una delle tante per preferire un
sistema più competitivo. Il ddl Capitali, nelle intenzioni, serve
appunto a invertire tale rotta.
Brembo è infatti una delle 73 società i cui statuti già
prevedono la maggiorazione del voto.
Alberto Bombassei, attraverso la Nuova Fourb srl già ha
assegnato un 69,679% sui diritti di voto e, dato di ottobre, aveva
richiesto l'iscrizione nell'elenco speciale che tiene conto delle
azioni che godono di maggiorato di titoli e che fornivano un altro
0,026%. Tra le prime aziende a ricorrere allo strumento c'è stata
Maire. L'elenco più aggiornato degli azionisti che hanno puntato
sullo strumento include il presidente Fabrizio Di Amato e la
spagnola Cobas Asset Management. Dentro Iren tale scelta è stata
soprattutto appannaggio dei soci pubblici e istituzionali. Fcu e
Fct, ossia il Comune di Genova e quello di Torino, la cui
partecipazione è del 18,851 e del 13,8% godono invece di diritti di
voto pari al 23,991 e al 17,566%. Reggio Emilia sta all'8,174% su
una partecipazione del 6,423%, la Compagnia di San Paolo è in
realtà al 4,375%. Lo stesso schema è seguito in Hera, dove sono i
Comuni di Bologna, Imola, Ravenna, Modena, Trieste, Padova e Udine
a comparire nell'elenco, costituendo un solido argine.'istituto
potrebbe diventare anche uno scudo nelle mani dello Stato,
permettendo di alleggerire le partecipazioni nelle quotate
pubbliche (nella Nota di aggiornamento del Def sono previste
privatizzazioni per 20 miliardi) cementando comunque il controllo e
dotandosi così di un ulteriore protezione capace di andare oltre al
golden power e la possibilità di far valere poteri speciali sugli
asset strategici.
Altrove è il modo per le famiglie e la proprietà di mantenere la
presa. Dentro la Juventus è ovviamente Exor a dettare la linea: sul
63, 766% del capitale la casa Agnelli-Elkann conta su una forza in
assemblea del 77,8%, mentre in Danieli la Sind International ha
richiesto nel 2021 l'iscrizione all'elenco per partecipazioni pari
al 67,71%. In campo finanziario il meccanismo piace a Banca Sistema
e a Unipol. E poi c'è il caso Webuild, dove la possibilità di
contare di più è stata adottata da Salini e dal Cdp Equity, con
oltre il 40% e il 16% del capitale sociale.
alu
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3008:38 ott 2023
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